La Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Verona è ubicata in piazza San Fermo, 3 a Verona. Ha sede nella parte orientale del centro storico di Verona all’interno dell’ex convento di San Fermo Maggiore, addossato al fianco meridionale dell’omonima basilica. Il laboratorio di restauro ha invece sede nella Dogana delle merci di terra, nell’attiguo quartiere Filippini.

Gli uffici sono ubicati nell’ambito conventuale del complesso di San Fermo maggiore, posto al di fuori della cinta romana a breve distanza dalla sponda del fiume Adige, e occupano due dei tre chiostri su cui si articola l’impianto monastico di fondazione benedettina risalente al 996. Si tratta di un insediamento di grande prestigio per la città di Verona che già a partire dal XI secolo assume dimensioni considerevoli attorno alla grande chiesa conformata su due livelli.

Il convento, assegnato dal 1261 Frati Minori francescani, grazie alle rendite dei fondaci e del diritto di ripatico riscosso dal vicino Ponte Navi visse una florida stagione economica tra ‘500 e ‘600: la chiesa fu arricchita di apparati decorativi e scultorei e il convento rinnovato fu dotato nel 1592 di un portale di ingresso monumentale in sostituzione dell’antica porta in forme gotiche ora murata esistente sull’angolo della facciata della chiesa; questo arco bugnato venne realizzato da fra Giovanni Tecacino di Terrazzo come attesta la scritta sull’architrave, su cui è scolpito l’emblema dei francescani composto da due braccia incrociate con le mani segnate dalle stimmate.

Dopo la caduta della Repubblica di Venezia e la soppressione del convento per decreto napoleonico, nel 1807, iniziò la trasformazione del complesso edilizio sotto il dominio austriaco per diventare sede di una caserma e degli uffici della I.R. Intendenza di Finanza. Le modifiche necessarie all’inserimento degli uffici governativi interessarono in più fasi l’intero comparto fino al 1937. Ancora oggi rimangono a connotare la fase ottocentesca la facciata verso la piazzetta San Fermo, che fu dotata di nuovi portali ad arco ad imitazione di quello cinquecentesco, e la facciata su via Dogana con nuove forometrie adattate agli usi interni.

Lo stato attuale del complesso è il risultato degli interventi di ricostruzione e ripristino delle parti crollate al termine della Seconda Guerra Mondiale, quando l’edificato subì gravi danni in seguito al bombardamento della città del 23 febbraio 1943 e alla successiva violenta esplosione del vicino ponte, nella notte del 25 aprile 1945, quando le truppe tedesche in ritirata fecero saltare tutti i ponti sull’Adige. In quell’occasione i tetti e le pareti sommitali crollarono compromettendo anche le strutture sottostanti, rendendo gli edifici completamente inagibili.

Nel 1952, su iniziativa dell’allora Soprintendente Pietro Gazzola, il Demanio affidò la parte pubblica del complesso al Ministero della Pubblica Istruzione, avviando l’istituzione degli Uffici della Soprintendenza ai Monumenti. Furono inoltre stipulati accordi con la Parrocchia di San Fermo, proprietaria di una porzione del complesso, per definirne la proprietà di alcuni settori.

Gli interventi di ricostruzione e restauro delle parti crollate trovarono attuazione in più fasi a partire dal 1954 e furono diretti dal Genio Civile, con finanziamenti pubblici stanziati dai ministeri della Pubblica Istruzione e dei Lavori Pubblici, per concludersi con l’insediamento della Soprintendenza ai Monumenti nel 1967.

Uno degli interventi più significativi, atti a conferire una nuova e razionale unitarietà, fu la  ricostruzione del blocco centrale, cerniera tra i due chiostri, dove venne inserito lo scalone d’accesso al piano primo realizzato su progetto dell’architetto Libero Cecchini come prototipo per la soluzione statica legata all’impiego dei conci di pietra assemblati con l’inserimento di barre d’acciaio pretese.

I chiostri, nonostante le ricostruzioni delle facciate interne e l’inserimento delle coperture con grandi lucernari, mantengono comunque la tipologia originaria risalente alla fase cinquecentesca e tracce importanti del ricco apparato decorativo delle lunette. Le lunette del chiostro maggiore conservano parte del ciclo delle storie di Sant’Antonio da Padova di Bernardino Muttoni il vecchio e il figlio Bernardo (1630-1640), mentre nel chiostro minore si trovano la struttura completa del pozzo centrale e poche tracce di affreschi e di intonaci originali nelle lunette, che a suo tempo dovevano contenere il ciclo delle storie di san Francesco.

All’interno della Soprintendenza ABAP di Verona sono attivi il laboratorio di restauro e l’ufficio esportazione che trovano sede nell’attiguo edificio settecentesco noto come Dogana di merci di terra.

Il complesso si articola attorno ad un ampio cortile rettangolare con un lungo peristilio a doppio loggiato di ordine toscano su tre lati ed un colonnato gigante di ordine dorico sul lato opposto all’ingresso; dietro a questo pronao monumentale vi era la “Stalia” un grande locale aperto per la verifica delle merci. Su questo suggestivo spazio centrale, conformato come un foro romano,  si affacciavano su due livelli una serie “camerini” interni, destinati a magazzini, connotati da un ritmo alternato di porte e finestre. Questa sede doganale destinata al controllo di tutte le merci in transito lungo l’Adige – via di comunicazione privilegiata nei traffici fra l’area mediterranea e il nord delle nascenti potenze commerciali, Inghilterra ed Olanda – fu voluto dal Consiglio cittadino e costruita in soli tre anni (1744-1746) su progetto del Conte Alessandro Pompei, noto esponente dell’élite culturale veronese. L’edificazione, seguita all’acquisto dei terreni dal vicino convento benedettino, assunse per la città una forte connotazione urbanistica e politica quale occasione di erigere ex novo un edificio pubblico le cui forme, come si esprime la stessa delibera del Consiglio, «confluissero al decoro della patria e della città» e con la speranza di acquisire, attraverso la parziale riforma del sistema daziario cittadino, una maggiore autonomia nel controllo del flusso mercantile, fino ad allora severamente esercitato dalla Serenissima.

Il rimando al linguaggio classico del Pompei rappresentava la coerente trascrizione nella pietra del progetto intellettuale di Scipione Maffei, espresso nella Verona Illustrata, ove le fabbriche «sontuose», e «ben’intese» dovevano contribuire alla costruzione anche simbolica della nuova res publica.

L’area legata all’approdo fluviale trovò definitiva sistemazione nel suo complesso solo sul finire del XVIII secolo con l’erezione della Dogana di d’acqua lungo le rive e la creazione della piazza interclusa tra i due edifici definita con due fornici di accesso in pietra bugnata lungo la strada di attraversamento.

Con il declino della Repubblica di Venezia questo luogo rimase sotto utilizzato, destinato a magazzino del sale dei Monopoli di Stato e allo stesso modo del Convento di San Fermo subì gravi danni con gli eventi bellici del XX secolo a cui seguirono dal 1946 operazioni di recupero e ricostruzione portati avanti dal Magistrato alle Acque in momenti diversi. Ma la vera e propria rifunzionalizzazione della Dogana di terra venne attuata a partire dagli anni Ottanta quando la Soprintendenza per i beni artistici e storici del Veneto ottenne in consegna l’edificio come sede operativa per l’immagazzinamento e il restauro delle opere d’arte. All’interno si individuano anche i locali più idonei per l’Ufficio esportazione.

Il promotore della realizzazione di un centro per il restauro delle opere d’arte di rilevanza regionale era il soprintendente Giovanni Carandente, poi sostituito da Renzo Chiarelli e successivamente da Antonio Paolucci. I lavori prevedevano l’area uffici nell’ala destra, il laboratori di restauro nella Stalia, il che comportò la chiusura del porticato con grandi vetrate.

A seguito della riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, che nel 2016 ha stabilito l’accorpamento dei suoi uffici periferici, l’edificio è stato assegnato alla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza. Nel frattempo gli interventi sono proseguiti compatibilmente alla cadenza di erogazione dei finanziamenti e si sono conclusi nel 2017 con l’adeguamento del laboratorio di restauro, del deposito delle opere d’arte, il completamento dei locali dell’ala sinistra e le opere di restauro e consolidamento del materiale lapideo dei due ordini del peristilio.

Dal 2022 in seguito ad un accordo tra enti, parte degli spazi della Dogana sono destinati ad attività didattiche della Accademia di belle Arti di Verona.

Il complesso conventuale di San Fermo Maggiore era dotato di tre chiostri. Al più antico, solo parzialmente e superstite e ricco di sepolture, si accede oggi da un cancello a lato dell’abside della chiesa. Gli altri due chiostri, ora conglobati nella sede della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, furono edificati a fine XV secolo nell’ambito della trasformazione e dell’ampliamento del complesso operato dai Frati Minori subentrati ai Benedettini nel XIII secolo. Sostenuti da colonne sovrastate da capitelli a grosse foglie d’angolo, conservano lunette con scene di vita dei Santi Francesco e Antonio dipinte con un linguaggio immediato e un chiaro intento di edificazione morale dei fedeli, in linea con l’apostolato attivamente esercitato dall’ordine dei Minori conventuali. Gli episodi sono inseriti entro finte architetture ad arco ribassato che seguono la reale struttura delle vele e recano un cartiglio con una terzina esplicativa dell’episodio sormontato dagli stemmi degli offerenti.

Nel primo dei due chiostri, in parte visibile dalla piazzetta antistante la facciata della chiesa, si trovano le lunette affrescate da Bernardo e Bernardino Muttoni intorno alla metà del XVII secolo con scene di vita e miracoli di Sant’Antonio da Padova. Esse erano in origine 42, ma a causa dei danni bellici ne restano solo 28, delle quali una decina sopravvissute allo stato di lacerti o illeggibili. Fra gli episodi narrati spiccano Antonio si reca missionario in Marocco, La visione del Bambin Gesù, La predica ai pesci per convertire gli eretici di Rimini e Le campane suonano a stormo da sole durante la canonizzazione del Santo. Nel secondo chiostro sorge al centro un pozzo a gradini. Qui sopravvivono solo due lunette con episodi della vita di San Francesco: La preghiera in San Damiano e L’apparizione su un carro di fuoco.

Dopo l’insediamento della Soprintendenza nell’ex convento di San Fermo negli anni Sessanta, le lunette furono oggetto di un primo intervento di salvaguardia, cui se ne aggiunge un altro negli anni Novanta, sotto la direzione di Mauro Cova, a seguito dei guasti prodotti dagli agenti atmosferici e dal degrado delle sostanze usate nel restauro precedente, che ne rendevano precaria non solo la lettura, ma la stessa integrità.